Mario è entrato deciso, con quell’aria di chi in un luogo sente tutta la familiarità e il calore, con il volto rilassato di chi sta ritornando, di chi ha ancora la buona abitudine di lasciare un buongiorno insieme al suo sorriso.
Chiuso nel suo cappotto color havana, con l’eleganza che solo certi uomini sanno ancora indossare, ha iniziato a raccontare del suo pane di polenta.
Dentro a quegli occhi piccoli che luccicavano ed esprimevano ancora tutta la gioia e la devozione per una crosta profumata, si potevano intravedere gli scorci di una terra, le sue abitudini e le tradizioni ancora ben ferme.
Si leggeva in maniera chiara di come, in tempo di guerra, lavorare al forno fosse una benedizione, una salvezza, per un bambino di 12 anni. Erano mesi che attendevo l’autunno per poterci provare.
Mesi che aspettavo che le cime si facessero gialle e il caldo abbandonasse le sere per portare in tavola una polenta fumante, per poi tenerne un po’ da parte e provare a replicare il pane di Mario.Per tutta l’estate ho cercato notizie e ricette, ho sfogliato libri, annotato particolari, ma senza grande successo. E in questa ricerca divertita e un po’ inusuale mi ha tenuto compagnia Daniela, che come me era rimasta affascinata dal racconto sentito di quell’ometto.
Alla fine di questa storia ho deciso che la ricetta di Mario avrebbe preso a camminare da sola, senza canovacci, nè infarinature, senza alcun copione definito, esattamente come lui si era presentato a noi con la sua storia.Questo pane di polenta è il mio omaggio a Mario e tutti gli uomini che hanno perso in fretta la loro infanzia, ma che non per questo hanno dimenticato la gentilezza, alle persone che sanno ancora capire il valore di un gesto semplice e rivoluzionario come mettere le mani dentro la farina o dentro la terra, a chi sceglie ogni giorno cosa portare in tavola, cosa non comprare, a cosa rinunciare.
Buona settimana, Manuela
- farina di segale integrale 160 g
- farina di grano tenero tipo 0 250 g
- acqua 250 g
- pasta madre solida rinfrescata e attiva 120 g
- polenta 150 g
- sale 6 g
- farinetta e farina di mais per spolverare
- Nota: per la polenta prevista negli ingredienti è necessario prima preparare la polenta secondo la classica ricetta. Si può preparare una piccola polentina in dosi sufficienti ad ottenere i 150 g finali degli ingredienti oppure si può preparare una dose superiore e prelevare i 150 g richiesti.
- La polenta deve essere ancora calda e morbida, così da evitare la formazione di grumi grossi nell'impasto.
- h. 19.30: sciogliete la polenta ancora calda nell'acqua, lavoratela velocemente con una frusta così da evitare la formazione di grumi.
- Fate intiepidire e, solo quando l'acqua avrà raggiunto i 26°C circa, unite il lievito madre.
- A parte mescolate le farine e il sale.
- In una ciotola più grande amalgamate gli ingredienti secchi con quelli liquidi e fate riposare per 30 minuti (autolisi), il tutto coperto da un canovaccio.
- Riprendete l'impasto e lavoratelo fino ad avere un pane teso e liscio.
- Coprite con la pellicola e fate lievitare a temperatura ambiente per tre ore circa.
- h. 22.30: riponetelo in frigorifero nel ripiano più alto fino al giorno successivo.
- h.13.00: rovesciate l'impasto su una spianatoia infarinata, dividetelo a metà e fate per oguno un giro di pieghe a tre.
- Pirlate e riponete nel cestino da lievitazione abbondantemente spolverato con farinetta di mais.
- Lasciate lievitare altre 2 ore e 30', quindi rovesciate, tagliate la superficie con una lametta e infornate in forno già caldo a 230°C.
- Dopo i primi 15' abbassate la temperatura a 190°C e portate a cottura (circa 30').
- Sfornate e fate raffreddare su una gratella.
In alternativa potete ammollare tutta la notte la farina di mais (circa 80 g), in altrettanta acqua (presa dal totale) e successivamente inserirla nell'impasto.
Se scegliete questa alternativa dovrete aumentare i grammi di sale a 10.
16 comments
un racconto pieno d’emozione, che dire? un pane che la racconta benissimo!
Grazie Raffaella!
Ecco, la polenta oggi l’avevamo in comune… ma a me mancava la storia affascinante dietro la ricetta. Immagino che il signor Mario sarebbe/sarà lietissimo di aver ispirato cotanta bellezza. Non sono sicura di aver ben capito il passaggio polenta cotta+ acqua, potrò eventualmente scriverti in pvt non appena lo proverò?
Non sei la prima a scrivermi di non aver capito…forse è il caso di rivedere il procedimento per renderlo più chiaro 😛
In pratica si cuoce prima la polenta e da questa se ne preleva il quantitativo indicato (150 g), quando è ancora calda la si scioglie in acqua e si procede con l’impasto normale.
Se non mi sono piegata bene scrivimi pure! 😀
Manuela, leggere le tue storie e le tue ricette è sempre un balsamo per l’anima
Grazie Paola…un abbraccio!
Bellissimo post ma soprattutto il pane è un vero spettacolo! Protagonista insieme a Mario.
Grazie Arianna, Mario ci ha conquistate tutte 😀
La storia di Mario e la tua storia nella sua l’avevo letta subito, già lunedi… ma sai che aspetto di avere un momento di quiete per venire qui a lasciare parole, così posso leggere e rileggere e cercare quei dettagli oltre le righe, magari più nascosti, che il mio occhio felino ama scovare…
L’impasto che resta attaccato ai bordi della ciotola bianca mi fa pensare alle tracce che il tempo lascia, ben aderenti, ben sedimentate, che si aggrappano con tenacia alle pareti del nostro vivere e se ci passi sopra il dito puoi sentirle… la farina che invece riposa nel cestino della lievitazione mi sembra polline, polline che ha lo stesso colore del paesaggio che ti circonda in questo periodo, uscito da un quadro…
La gentilezza sembra ormai passata di moda un po’ ovunque, ma quando c’è si sente forte, si fa apprezzare di più perchè rara e tinge tutto di giallo…
(e il tagliere è bellissimo)
Sai che io ti aspetto sempre, presto o tardi, lascio sempre le finestre socchiuse per far entrare una certa “gatta” che spesso passa di qui per farmi compagnia 😉
La gentilezza è davvero fuorimoda, ma chi ha un anima vintage non può farne a meno.
La polenta che diventa polline è davvero un’immagine luminosa, bellissima…grazie come sempre!
Per me avere dei maestri è sempre stato fondamentale. Qualcuno che avesse vissuto più di me, che avesse tanta esperienza e conoscenza in qualcosa che bramavo padroneggiare, qualcuno che avesse una storia e che fosse disposto a condividerla. Le persone mi hanno sempre ispirata molto più dei libri, anche quelle che mi sono diventate maestre senza saperlo e che il più delle volte conoscono bene il valore di quei gesti semplici e rivoluzionari.
Splendido post e splendido pane, sappi che, essendo diventata ufficialmente la mia regina dei lievitati come ti dicevo di recente, credo che tra non molto mi farò sentire via mail per certe questioni…a meno che non arrivi da sola a capire cosa non va ultimamente nella mia crosta!!
Anch’io ho sempre guardato più alle persone che i libri: certe persone ti trasmettono tutto il loro sapere involontariamente e io me ne innamoro al volo di quella passione, perchè è lì e si vede, traspare…
Certo che una regina un po’ più seria potevi trovartela eh 😉
Se non ti sento presto , ti scrivo io, così mi racconti un po’ come va!
Sono legata al quel giorno da tanti bei ricordi, imparare a fare il pane vederti all’opera, ho passato ore indimenticabili, conservo il ricordo del signor Mario insieme a te, ricordo il suo volto contento nel vedere quello che stavamo per fare, il pane, e la sua faccia felice di poter condividere il suo ricordo e di vedere nei nostri occhi un interesse vero. L’importanza di ascoltare, di ricordare quello che ci è stato raccontato da chi ha vissuto prima di noi con profondo rispetto. Di fronte a tutte queste premesse il risultato di questo pane non poteva che essere che questo, bellissimo, sono qui che me lo guardo, ora tocca a me ti farò sapere presto… grazie Manu per avermi regalato un altra emozione!! 🙂
Quando l’ho assaggiato (e lo sai, perchè sembravo in preda a un attacco di follia), ho pensato di rivedere Mario e un po’ anche noi, in quel pomeriggio di primavera.
Non so perchè certe persone mi arrivano dritte al cuore senza fare la minima fatica…ora non ti resta che provare anche tu, Dani, spero che capiterà presto!
Non conosco il procedimento dell’autolisi e non ho capito bene il punto 6: si tratta solo di acqua e farine? Quanto tempo va impastato? La polenta e il lievito li aggiungi dopo i trenta minuti di riposo? Grazie!!!
Ciao!
Molto semplicemente l’autolisi è un processo in cui durante il riposo, la farina si idrata completamente e il glutine si sviluppa più facilmente per l’assenza di sale.
Si procede mescolando sia gli ingredienti liquidi (acqua, polenta e lievito sciolto) con quelli secchi e si lascia che da sole le molecole inizino a rompersi e idratandosi a formare la maglia glutinica..
Quindi la polenta in questo caso la si aggiunge all’acqua, si mescola, poi col termometro o col dito si prova la temperatura e se non scotta più si unisce il lievito.
Tutti questi liquidi vengono uniti alle farine e si impasta brevemente, fino ad aver amalgamato le farine all’acqua ma comunuqe in maniera sommaria.
Copri, lasci riposare 30 minuti (tutto questo è l’autolisi) poi riprendi l’impasto per lavorarlo.
Spero di essere stata più chiara 😀