On air:”My dear country-N. Jones”Quando perdo il ritmo in questo presente, il ricordo alleggerisce il peso.
Se la domanda si fa insistente, le risposte sono un lungo filo di immagini, incrinate e leggere, come le mie gambe da seienne che fanno su e giù cantando “Bomba non bomba”, all’ombra di quell’acacia che somiglia più a un vecchio dal lungo sguardo.
Gambe che rotolano dall’osteria fino alle sorgenti, nei pomeriggi sotto il portico della cascina o con la testa in mezzo al fieno, tra un tuffo e l’altro dall’alto di quel pagliaio.
Pensieri come fossero aria, come se non esistesse un domani oltre quei lanci da tuffatrice imperfetta e il verde dei prati.
Amare il proprio territorio e vederlo sparire.
E’ una felicità che arranca ed io che non so più se queste immagini incrinate possono davvero farmi dimenticare tutte le gru che si intromettono tra me e l’orizzonte.Ma ogni terra è fatta di sentimenti e persone che raccontano il proprio orgoglio, con tenacia e cura per i dettagli.
Cura che si riflette nelle tradizioni culinarie, nella scelta delle materie prime e che riparte dal basso, con umiltà e ingegno.
Mi sono imbattuta più volte nei prodotti del Prosciuttificio Marco d’Oggiono, presente da anni ormai tra i produttori di Slow Food, ma mai avevo avuto l’occasione per un faccia a faccia.
Opportunità che ho avuto lo scorso novembre, in occasione di Golosaria.
Un incontro non del tutto casuale, che in parte si lega a quel mio famoso progetto di cui vi ho accennato tempo fa e che non mi dimenticherò di raccontare nel dettaglio molto presto.
Incontrarsi, parlare, comprendere filosofia e passione e ritrovare in un semplice elemento quello che per anni ha caratterizzato un intero territorio.
Sapete che non è da me lodare senza motivo, che non amo le incette di prodotti e le ricette ad hoc, ma se vi dovesse capitare di passare dalle parti di quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, deviate ancora un po’ e fate sosta nello spaccio dei Sigg.ri Spreafico, non ve ne pentirete assolutamente e da qualche parte, anche il paesaggio, saprà dirvi perchè.
Da Lunedì a venerdì
8.30 – 12.00
14.00 – 18.30
Sabato
8.30 – 12.30
- Per la pasta
- farina tipo “0" 400 g
- uova 4
- sale q.b.
- Per il ripieno
- patate 600 g
- Parmigiano Reggiano DOP 100 g
- latteria di montagna 150 g
- rametto di rosmarino 1
- aglio 1 spicchio
- noce moscata q.b.
- pepe bianco q.b.
- sale q.b.
- Per il condimento
- burola magrissima Marco D'Oggiono 150 g
- olio extravergine q.b.
- mosto cotto di Lambrusco "Cantina Quistello"
- Per il ripieno: bollite le patate in acqua fredda con un pizzico di sale per 40 minuti quindi pelatele e passatele nello schiacciapatate. Soffriggete in poco olio l'aglio e il rosmarino, unite le patate, insaporite, quindi eliminate l'aglio ed amalgamate con il Parmiggiano Reggiano e il formaggio fatto a dadini molto piccoli. Salate, spolverate di noce moscata e pepe macinato, quindi lasciate raffreddare.
- Per i ravioli: disponete la farina a fontana, aggiungete al centro le uova, un pizzico di sale e impastate. Dopo aver lasciato riposare l’impasto, tirate una sfoglia e tagliatela in lunghi rettangoli.
- Disponete su di essi una noce di ripieno e coprite con un altro rettangolo di sfoglia.
- Eliminate l'aria e formate con uno stampo rotondo, sigillate coi rebbi di una forchetta e disponete i ravioli su un vassoio infarinato.
- Tuffate i ravioli per un paio di minuti in acqua salata, scolate con una schiumarola e trasferiteli in un tegame ampio in cui avrete fatto scaldare un filo d'olio insieme alla burola e un ciuffo di rosmarino.
- Amalgamate i ravioli, aggiungendo qualche cucchiaio dell'acqua di cottura, servite e condite con il mosto cotto.